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L’Arminuta: Di Pietrantonio ha le parole giuste per l’abbandono

L'arminuta Di_Pietrantonio

Capita che un libro ti rapisca fin dal primo istante, che ti immerga nella sua realtà di carta dal primo rigo. E così è difficile lasciarlo (perché mai una storia così vera dovrebbe finire all’improvviso?) ed è ancora più difficile parlarne con oggettività.
Forse è un bene partire dalla prima impressione che ho avuto leggendo L’Arminuta: che l’autrice Donatella Di Pietrantonio abbia usato le parole giuste. Le parole più adatte per narrare la storia della Ritornata, anzi della restituita, il suo senso di smarrimento, di tradimento, di abbandono. Una simile precisione è il frutto di una innata sensibilità, prima (e oltre) che di un indubbio lavoro di cura del testo. E questa sensibilità trascina il lettore sulla spalla della protagonista – un punto privilegiato di osservazione – e lo costringe a guardare la realtà con suoi occhi di bambina.

Trama

Una bambina che a 13 anni è catapultata in un’altra casa, in un’altra famiglia, in un altro paese. In un’altra vita, strana e minacciosa. Senza altro contatto con ciò che conosce che una borsa piena di vestiti e delle scarpe.
Chi è questa bambina? Difficile a dirsi: ci viene descritta attraverso i suoi vestiti, i quaderni, le saponette nuove: la nostra giovanissima protagonista ha tutto ciò che definisce la ricchezza, ma le manca il nome. E come potrebbe averlo? Quando a 13 anni scopri che tua madre non è tua madre, che tuo padre in realtà è tuo zio; quando a 13 anni i tuoi presunti genitori ti dicono (e nemmeno te lo spiegano) che ti hanno cresciuta in una finzione, e per di più decidono (e non te lo spiegano) di smontare palco e scenografia all’improvviso e restituirti alla tua famiglia di sangue (alla tua «famiglia per forza»); se perdi tutto della tua vita precedente, dell’unica vita che abbia mai immaginato, allora resti senza identità. E per tutti sei solo l’Arminuta, la ritornata.

Non conoscevo quasi nessuno ancora, ma loro ne sapevano più di me sul mio conto, avevano sentito le chiacchiere degli adulti.
Quando era piccola l’ha voluta per figlia una mezza parente. Ma mo che s’è fatta signorina perché è arminuta ecco da ‘sti scioperati?

Questa è un’altra storia: tutti sanno tutto di lei, sanno chi è e dove ha vissuto fino a quel momento, quando lei stessa non sa chi sia. E non ha più i nomi per chiamare le cose: persino le prime parole, mamma e papà, hanno perso significato; e bisogna imparare a chiamare padre un uomo taciturno e violento, e madre una donna sottomessa e disordinata, e casa una catapecchia sporca e sovraffollata.

L’abbandono e il senso di colpa

Nel tempo ho perso anche quell’idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro.

Dal paradiso di una casa di lusso, di una vita agiata e una famiglia amorevole, a un inferno di lavori e sacrifici. E invece di provare rabbia, il primo sentimento è il senso di una colpa ignota, perché mai commessa. Ma come spiegare altrimenti il rifiuto di mamma e papà, il loro ermetico saluto?

«Io voglio vivere a casa mia, con voi. Se ho sbagliato qualcosa dimmelo, e non lo farò più. Non lasciarmi qui.»

La sorella

L’unica àncora per questa tredicenne che d’un tratto si sente piccola e smarrita sarà la “una bambina con le trecce allentate”, la sorella Adriana. Una mocciosa sporca e poco istruita, che bagna il letto di notte e non ha mai visto il mare: è lei che le apre la porta di casa e della sua nuova vita. Per l’Arminuta Adriana è una sorella maggiore e protettiva, esperta delle cose della vita, nonostante la sua giovanissima età.

Mia sorella. Come un fiore improbabile cresciuto su un grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza.

Il rapporto tra le due sorelle è uno scambio complesso e ricchissimo: se l’Arminuta magnifica il suo mondo, fatto di scuole superiori e piccoli lussi, Adriana le mostra falsità e contraddizioni di quel suo Paradiso perduto. Ognuna di loro offre all’altra una nuova visione, un’alternativa, che per entrambe sarà crescita e salvezza.

Ora ci somigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate.

    • Autore: Donatella Di Pietrantonio
    • Genere: Romanzo (176 pp.)
    • Filone: Contemporanea italiana
    • Casa editrice: Einaudi
    • Anno di pubblicazione: 2017
    • Riconoscimenti: Premio Campiello 2017

2 Commenti

  1. Csdl

    Francesca, thanks! And thanks for sharing your great posts every week!professional writing

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