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Cairo Automobile Club: un divertente tuffo in Egitto con Al-Aswani

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“L’automobile è un’invenzione dell’Occidente e solo l’Occidente può prendere provvedimenti al riguardo”.

Nel 1924 venne inaugurato il Regio Automobile Club del Cairo, Egitto. La presidenza formale e quella onoraria del neonato circolo vennero affidate ai regnanti in carica; poiché l’Egitto, all’epoca, si trovava sotto l’occupazione inglese, la direzione del club fu assegnata a un inglese, Mr. James Wright. Ed è intorno a questo edificio, dall’architettura “chic e kitsch”, che si intrecciano le vicende dei protagonisti di “Cairo Automobile Club“, di ‘Ala Al-Aswani. Sullo sfondo del torbido rapporto tra monarchia egiziana e governo britannico.

Egitto, giorni nostri. Uno scrittore si ritira nella sua villa al mare per rivedere le bozze del suo ultimo libro…

Pardon.

Germania, 1870. Karl e Bertha stanno per sposarsi…

Scusate ancora!

Cairo, anni ’40. La nobile famiglia degli Hamam si trasferisce in città: persa ogni ricchezza, il padre ‘Abdelaziz cerca un lavoro che gli permetta di mantenere i suoi figli. Grazie all’impiego all’Automobile Club, per alcuni anni ‘Abdelaziz riesce ad assicurare alla sua famiglia una relativa felicità: due dei quattro figli, Saliha e Kamel, sembrano avviati a brillanti carriere universitarie. Ma alla sua morte, la famiglia Hamam si sfascia. Il primo ad andarsene è Sa’id, il primogenito, che darà sfogo al rancore covato verso il padre cercando di rivalersi sulla bravissima sorella. Mahmud e Kamel, invece, prendono il posto del padre all’Automobile Club, e rappresentano la duplicità di questo luogo. Uno si perde in una palude di corruzione, l’altro complotta per rovesciare la monarchia…

Perdonate l’iniziale confusione: l’autore ci mette un po’ a entrare nella storia, facendola precedere da due narrazioni completamente autonome nello spazio e nel tempo. Una scelta simile a quella di Khaled Hosseini, che sceglie di aprire il suo terzo romanzo (“E l’eco rispose”) con la favola del div. Come in quel caso, anche qui i capitoli introduttivi sono dei “racconti nel racconto”, che potrebbero benissimo far parte a sè. Perse le coordinate di riferimento, il lettore risulta conquistato, pronto per immergersi nel romanzo.

Nonostante le sue 480 pagine, Cairo Automobile Club è una lettura piacevolissima: merito della ricchezza della trama, basata sulle vicissitudini di cinque protagonisti, e dei variegati e realistici personaggi. Si potrebbe dire che il romanzo sia suddiviso in due parti. Nella prima l’autore si sofferma a descrivere le figure che animeranno la seconda, e che rappresentano uomini e donne senza tempo: dall’avaro mercante al bonus pater familiae, dal figlio devoto a quello approfittatore allo scemo del villaggio.

In questa galleria, merita particolare rilievo la figura del Kao, “porta di accesso al re” e capo del personale dell’Automobile Club. Il Kao sceglie i servi, li addestra e li paga, soggiogandoli con umiliazioni e ricatti. Al tempo stesso, per i suoi lavoratori il Kao è una figura semidivina: li ha salvati dalla miseria, detta regole severe e amministra una giustizia sommaria e punitiva, ma almeno rappresenta un punto di riferimento, una certezza.

Dopo Nostro Signore Dio Onnipotente era lui, il Kao, l’unico e il solo a disporre della loro vita, del loro sostentamento e del loro destino.

Meglio un ordine lesivo della propria dignità che una dignità senza mezzi di sostentamento.

La sottomissione è tale da manifestarsi anche fuori dall’orario di lavoro: impregna i gesti dei camerieri quando hanno dismesso il caftano di servizio, li spinge a difendere il Kao e i suoi soprusi, a parlarne bene, “a scopo precauzionale”.

Era prassi che i colleghi del colpevole lo tenessero fermo mentre veniva picchiato… Il senso era dimostrare che non c’è amicizia che tenga quando qualcuno sbaglia.

Un ruolo fondamentale lo giocano le donne del romanzo: Saliha, Mitzie, Fayqa , Odette… Lungi dall’essere sottomesse o mero sfondo per i mariti, le donne di Al-Aswani sono istruite, coraggiose, battagliere, determinate a raggiungere i loro obiettivi e, come nel caso di abla ‘Aisha, disposte a usare tutti i poteri del gentil sesso per ottenerli.

“La Gran Bretagna… compie un vero e proprio sacrificio quando manda i suoi soldati in paesi arretrati come l’Egitto o l’India. E non so fino a quando gli inglesi si sentiranno ancora in dovere di portare la civiltà a un popolo di barbari”.

In questo contesto si consuma la lotta tra il bene e il male: da un lato ci sono i pregiudizi degli inglesi verso gli egiziani (“Sono sporchi, stupidi, imbroglioni, bugiardi e ladri”) e la connivenza di una corona corrotta e decadente; dall’altro le rivendicazioni di uguaglianza e diritti da parte di studenti e dissidenti del Wafd e comunisti.

Il tutto è complicato dall’opportunismo di quanti, come il maitre Shaker (“La servitù non lavora bene se non viene picchiata”) e lo chef Rakabi, pur se egiziani, godono di un relativo benessere.

“La servitù lavora adeguatamente solo se ha paura, e non ha paura se non sa che, in qualsiasi momento, potrebbe essere punita per un motivo qualsiasi, o magari anche per niente… I diritti rovinano la servitù”.

Lo stesso autore ha ammesso di aver interrotto la stesura del romanzo durante la rivolta di piazza Tahrir, per riprendere la scrittura dopo, affrontando la parte della rivoluzione senza bisogno di inventare i sentimenti, ma ricordandoli.

Grazie anche all’ottima traduzione, Al-Aswani regala una lettura scorrevole e divertente. I suoi personaggi sono complessi, ma ritratti con ironia e con tale ricchezza di particolari da sembrare persone in carne e ossa: dalle loro vicende il lettore non vorrebbe staccarsi mai.

  • Autore: ‘Ala Al-Aswani
  • Genere: Romanzo (496 pp.)
  • Filone: Letteratura egiziana
  • Traduzione: Elisabetta Bartuli e Cristina Dozio
  • Casa editrice: Feltrinelli
  • Anno di pubblicazione: 2014

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