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“Il ragazzo giusto”: per conoscere l’India, avanti un altro

Un romanzo rosa, ma enciclopedico, variegatissimo e popoloso come l’India. Eppure in “Il ragazzo giusto”, di Vikram Seth, qualcosa non convince

il ragazzo giusto vikram seth  recensione

È molto più complicato di quanto non sembri; e dire che già l’aspetto di questo libro non è dei più concilianti. “Il ragazzo giusto”, di Vikram Seth, si presenta come un tomo di 1600 pagine, che pesa quanto tre pacchi di pasta. Già l’aspetto enciclopedico è una sfida, parzialmente addolcita dall’autore, che con ironia invita a comprare il mattoncino perché «ti conviene; non dar retta alla ragione/se ti mormora con foga/che la borsa resta vuota/e il polso ti si sloga» [1].

La maggiore complicazione non sta nell’acquisto, comunque, ma nel trovare un motivo per proseguire un romanzo che, a giudicare dal titolo e dalla prima scena (un matrimonio nella città immaginaria di Brahmpur, India dell’est, 1951) sembrerebbe risolversi in un (enciclopedico) romanzo rosa.

Trama

La protagonista è Lata Mehra, studentessa e figlia modello, col pallino di scegliere da sé il suo sposo. La sua avversaria è “mamma” Rupa Mehra, vedova ciarliera e dalla lacrima facile, determinata a trovarle un marito adeguato al più presto.
Tutte le altre storie (dei fratelli di Lata e dei loro matrimoni, dell’incorreggibile Maan innamorato di una cantante, di Veena in crisi finanziaria e di Zainab che il marito musulmano ha rinchiuso nello zenana, dell’ambizioso Mahesh in cerca di un lavoro più prestigioso, di Arun che vorrebbe essere inglese, del ministro delle Finanze a caccia di sostegno per l’abolizione del latifondo ecc.) sembrerebbero tutte vicende di contorno, slegate l’una dall’altra, se non fosse che nella caotica Brahmpur tutti conoscono tutti.

La storia di Lata e della sua ricerca si snoda all’inizio tra scene di interni: il mercato delle scarpe, i cortili e terrazzi privati, le stanze del parlamentino nazionale e quelle delle donne. Poi inizia a muoversi in spazi più ampi, spostandosi a Calcutta, Lucktown, Kanpur; una sorta di pellegrinaggio da un partito all’altro. Ma com’è possibile che sia così complicato trovare il ragazzo giusto, o un marito adeguato, in un Paese di miliardi di abitanti?

Questione di caste

Occorre escludere tutti gli appartenenti a caste inferiori; ma anche i pretendenti troppo ricchi, perché la sposa entra in un’altra famiglia, e se risulta troppo diversa ne viene emarginata. Scartiamo poi le persone con la pelle troppo scura, perché Rupa non vuole nipotini neri. Mettiamo ancora da parte i candidati che non hanno frequentato il college; ma anche i filo-inglesi, perché simpatizzano con l’ex dominatore. Infine scartiamo tutti i musulmani, che al massimo possono essere amici, giammai suoceri o mariti.

La società indiana post coloniale è un equilibrio impossibile: in superficie c’è una cortina di ordine (basato sulla divisione dei villaggi in centro, per i notabili, e periferie, per gli intoccabili) e tolleranza (fondata anch’essa su una separazione, o su una non interferenza, tra caste e religioni). Al fondo invece c’è una tensione perenne, pronta a sfogarsi alla minima provocazione: basta una parola perché scoppi un tumulto.

Infinita India

Nulla funziona: non c’è un treno che sia in orario e basta uscire dal viale principale per constatare una miseria generalizzata e inestirpabile. Di conseguenza non c’è nulla che non si possa comprare. L’indipendenza non ha portato stabilità. Impossibile rintracciare una identità costituente in un Paese grande quanto un continente: un indizio in questo senso è il dialogo assurdo tra la Gran Dama della Cultura e il povero Dipankar, in cui l’identità dell’India viene ricondotta di volta in volta a figure geometriche, Dualismi, Essenze, per finire confinata nello Zero (o Nullità).
Nonostante l’indipendenza, l’educazione dei notabili si basa su poeti inglesi e la presenza di funzionari di Sua Maestà è ancora forte, rafforzata da quegli indiani che si sentono inglesi mancati e ignorano il ribrezzo che Lord e Sir nutrono per caste, curry e divinità.

Il trauma più profondo è comunque la separazione del Pakistan su base religiosa [2]. La partizione ha spaccato intere famiglie, con la moglie rimasta a Delhi e il marito spedito a Karachi, e ha rivoluzionato gli equilibri di quelle che sono rimaste intere. Come è successo alla signora Tandoon, che «a Lahore, tanto per la disposizione orizzontale della casa quanto per il suo ruolo di matriarca sicura di una famiglia ricca e unita, aveva esercitato un controllo rigoroso, addirittura tirannico», mentre a Brahmpur è relegata dalla sua vecchiaia al piano inferiore di una casa popolare.
Anche se tra i giovani il sentimento religioso è irrilevante (il primo amore di Lata è un musulmano), tra gli anziani sono ancora diffusi l’odio e la diffidenza, come dimostrano su parti opposte l’imam della moschea Alamgiri, preoccupato dalla costruzione di un tempio a Shiva proprio accanto al minareto, e il ministro degli Interni indù. Per il primo,

La loro religione era in pericolo, i barbari erano alle porte. Quegli infedeli pregavano rivolgendosi a immagini e pietre, e si moltiplicavano nell’ignoranza e nel peccato. (…) Avevano portato la loro bestialità a ridosso dei confini stessi della moschea. (…) Vi avrebbero danzato davanti selvaggi nudi e imbrattati di cenere…

Mentre il secondo intende sfruttare la religione per colpire i suoi avversari politici.

Erano tutti fanatici, quei musulmani, che sembravano non rendersi conto che si trovavano lì nel paese per pura tolleranza. Una buona dose di legge ben applicata avrebbe fatto loro del bene.

Il partito giusto

Viste le innumerevoli divisioni, si capisce perché Lata debba girare l’India in lungo e in largo per trovare un marito! Il libro, comunque, nella sua mastodontica mole annacqua la gravità di questi argomenti in un mondo di chiacchiere, piccoli screzi, pettegolezzi e fatterelli. Un mondo che, nonostante la sua estensione e popolosità, alla fine è come un grande condominio, in cui un’indiscrezione si fa presto notizia, un segreto dura cinque minuti («La signora Chatterji era venuta a saperlo perché prima di addormentarsi il marito aveva lasciato distrattamente vicino al letto un foglietto di carta. (…) Ancora una volta erano venuti a a galla i fatti. (…) In che modo Biswas babu fosse venuto a saperlo era un autentico mistero, comunque ne era al corrente») e i personaggi apparentemente più deboli (le donne, i servitori) smuovono le sorti delle famiglie nel segreto dello zenana.

Tutto, troppo

Talvolta compaiono figure istrioniche come la Fascinosa Cantante che si è fatta da sola (l’equivalente della ballerina nella nostra letteratura) o il guppi, il cantastorie o scemo del villaggio, le cui narrazioni incredibili fermano il tempo e rapiscono l’attenzione di bambini, animali, passanti. Altre volte ti chiedi perché stai andando avanti nella lettura (è il caso del dibattito parlamentare per la legge sullo zamindar: se non ci leggiamo i resoconti parlamentari di casa nostra…).

Del resto un romanzo di 1600 pagine, che ti accompagna magari per un mese, necessariamente conosce alti e bassi. E anche se ha il pregio di trascinarti fisicamente nel suo contesto (in pratica invecchi con il romanzo in mano) nel complesso non mi sembra uno di quei libri imperdibili sull’India [3] (sarà perché prediligo uno stile conciso?), né mi sento di concordare con i commenti entusiastici sullo stile e sul linguaggio dell’autore Vikram Seth.
Ciò detto, avanti un altro, fatevi sotto con i vostri consigli! L’India è grande, chi vuole suggerirmi un altro romanzo?

  • Titolo originale: A Suitable Boy
  • Autore: Vikram Seth
  • Genere: Romanzo
  • Filone: Letteratura Indiana
  • Traduzione: Lidia Perria
  • Casa editrice: Tea Edizioni
  • Anno di pubblicazione: 2014 (1993)

Sullo stesso argomento, leggi anche Il ministero della suprema felicità, di Arundhati Roy.

[1] Il libro è costellato di distici in rima, composti su due piedi dai personaggi a commento e sottolineatura delle loro chiacchiere.

[2] Si stima che dopo il 1947 14 milioni di persone abbiano preso parte all’esodo in entrambe le direzioni.

[3] Tanto per citarne un paio: I figli della mezzanotte, di Salman Rushdie, o Mezzanotte e cinque a Bhopal.

3 Commenti

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  2. Maurizio Ricci

    Accanto al magnifico “I Figli della mezzanotte” non si può non citare il suo duale “La vergogna”, incentrato sulle vicende nel lato pakistano dell’ex-impero coloniale appena spartito.
    Con l’ovvia premessa che quasi tutti i libri di Salman Rushdie meritano senz’altro di essere affrontati, oltre ai due citati quelli che più consiglio agli amici sono “L’ultimo sospiro del Moro” e “Shalimar il Clown”, dove alla prevedibile perfezione formale si associano anche trame ben congegnate.

    Amitav Ghosh è artista altrettanto brillante e poliedrico; capace di lavori di cesello, chirurgici quasi (“Lo schiavo del manoscritto”, “Le linee d’ombra”) e di narrazioni più tradizionali (“Il cerchio della ragione”, “Il palazzo degli specchi”) ma anche di una opera magica ed indescrivibile come “Cromosoma Calcutta”: raramente un finale è stato così in crescendo….forse i migliori romanzi di Aldo Busi, “Vendita galline km 2” e “Suicidi dovuti”

    Accanto a questi due Maestri (che non scopro certamente io!) un libro che mi sento di consigliarti, visto che non hai paura dei mattoni, è “Giochi sacri” di Vikram Chandra. Comprato quasi per caso, si è rivelato una piacevolissima sorpresa; costruito quasi come un thriller, ma più che per il plot è interessante per il contorno, per come i due protagonisti (ed antagonisti) si muovono, evolvono ed integrano nelle molteplici pieghe della società indiana.

    Buona lettura….e sappimi dire

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    1. Francesca Romana Genoviva (Autore Post)

      Quanti consigli! Ne farò tesoro. Grazie e buone letture anche a lei

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