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Con “Tolo tolo”, Checco Zalone ci prende in giro (e va bene così)

Avete capito perché il film di Checco Zalone si intitola Tolo tolo?

Se la risposta è no, probabilmente il film non vi sarà piaciuto.

Diciamocela tutta: siamo andati al cinema con l’intenzione di ridere, unita a un certo scetticismo rispetto alla possibilità del campione della risata di superare la comicità di Quo vado?. Ebbene, guardando Tolo tolo, quanto a ridere, si sorride, certo; ma sicuramente meno rispetto alle gag a base di posti fissi e aspettative.

Tolo Tolo Checco Zalone

La verità è che l’attore e cantante pugliese non avrebbe potuto eguagliare la comicità di Quo vado?. Infatti non c’ha nemmeno provato, e meno male! Già nel penultimo film, la sua verve comica si era incrinata nelle scene delle varie “pugnette” a orsi, rinoceronti e chi più ne ha più ne metta; se avesse proseguito su questo filone, probabilmente il prossimo passo sarebbe stato uno squallido film alla Boldi e De Sica (serie Duemila). Nonostante sia uscito in un periodo da Cinepanettone, si può dire che Tolo tolo sia il primo film drammatico di Checco Zalone. In questo senso, segna una vera e propria evoluzione nel suo linguaggio.

Se andrete a vedere Tolo tolo, pagherete 7 euro per farvi prendere in giro. Eh già, proprio così. Anzi, Luca Medici ci prende in giro fin dal trailer! Dopo la diffusione della canzone “Immigrato”, siamo andati al cinema con la convinzione di vedere l’ennesimo film (in verità un po’ banalotto) a base di luoghi comuni sugli immigrati. In un certo senso possiamo dire che l’anti-trailer del film ha suscitato in noi quei pregiudizi, quel senso di autodifesa, quel ronzio razzista che a volte Checco avverte durante la sua permanenza in Africa.

Invece il film non è nemmeno ambientato in Italia. Non ci sono uomini neri che ci rubano il lavoro e le donne e ci scroccano il wifi; il massimo paradosso è che l’africano ti offre un lavoro e ti salva la vita in quella gara di soppravvivenza che è il continente nero, almeno in alcune sue zone.

Che delusione! Nessun mendicante, niente tipo con la pezza al semaforo, non ci sono ladri e stupratori. Al contrario, i problemi che affliggono Checco, costringendolo a scappare dall’Italia, sono i soliti pasticci col fisco e i concorsi pilotati!

Ma che ce ne facciamo di un film sull’Africa? Un film che non fa né piangere né ridere? Un film che non dice niente che già non sappiamo? Niente! Infatti andare a vedere Tolo tolo è diventato una scelta di campo. «Ah, ma non fa ridere? Ah, quindi si svolge in Africa?»

Adesso tornate con la mente alla scena in cui Checco insegna a Dudù a nuotare; dice qualcosa tipo «Da solo! Fallo da solo!». Il bambino, storpiando l’italiano, ripete «Tolo tolo!». Bella vero? Non vi nascondo che in quel momento (quando ho cominciato a capire il film, tra l’altro) mi sono commossa: quanti bambini in viaggio verso l’Europa incontrano un occidentale che insegni loro a nuotare? In quanti casi un’onda gigante che travolge un barcone lascia dietro di sè tanti sopravvissuti che cantano e si esibiscono nel nuoto sincronizzato?

Ecco, se pensate come vanno le cose nella vita vera, capirete perché parlo di dramma. Tutto il film è la farneticazione di un uomo ingenuo, che fin dall’inizio si proclama “un sognatore”, uno che vive scollato dalla realtà, tanto da non spaventarsi nemmeno quando gli esplode accanto una bomba. Il film è pieno di riferimenti a questa dimensione onirica (il villaggio turistico che si chiama African Dream, per esempio), dietro cui si nasconde la realtà.

La stessa scena finale è la conferma che il sogno continua, con il finto matrimonio (da cui poi Checco è svegliato proprio dagli immigrati). E la canzoncina in stile Mary Poppins/Zecchino d’Oro? Se la prendete da sola, penserete che il regista sia ammattito. Invece è la farsa per eccellenza! Come se Luca Medici dicesse “finiamola con queste favolette!”. E finiamola di trattare le persone come carne (fantastica la scena della divisione dei migranti tra i Paesi) o come “risorse”.

Che dire, Checco Zalone con questo film ha rischiato tanto. Per me, la scommessa è vinta.

(riproduzione riservata)

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