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Il caso Richard Jewell: un uomo nel tritacarne dei media

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Atlanta, 26 luglio 1996: nel bel mezzo delle Olimpiadi estive, Richard Jewell, un addetto alla sicurezza sovrappeso e solitario, si dirige verso il Centennial Olympic Park, fiore all’occhiello del manifestazione sportiva. Scrupoloso, quasi maniacale, Richard ha memorizzato ogni dettaglio del parco che sorveglia; poco dopo la mezzanotte, è l’unico ad accorgersi di quello zaino verde militare abbandonato sotto una panchina. Il sospetto che si tratti di una bomba è immediato.

La sua intuizione viene sottovalutata: a pochi giorni dall’inizio delle Olimpiadi, gli allarmi bomba diramati (e rivelatisi infondati) sono già stati decine. Persino il vicecapo alla sicurezza del parco sottostima la minaccia: Probabilmente ci toccherà far esplodere l’ennesimo zaino con dentro un pupazzo di Topolino. Di lì a poco lo zaino salta in aria, con il suo pericolosissimo contenuto di chiodi e schegge; nonostante la folla presente al Centennial, si contano solo due decessi: l’insistenza di Jewell per creare un cordone di sicurezza intorno al pacco sospetto ha evitato una strage. Ciò che sta per esplodere, invece, è la vita di Richard.

La struttura

Kent Alexander e Kevin Salwen (entrambi coinvolti nei fatti narrati, il primo come procuratore del distretto, il secondo come editorialista del Wall Street Journal) sono bravissimi a ricostruire gli inquietanti retroscena del caso Richard Jewell. Dopo un inizio in medias res, i due autori riportano il lettore indietro di qualche anno, quando l’idea di organizzare le Olimpiadi in una piccola città della Georgia è poco più di un’utopia. Via via che l’impossibile prende forma, le aspettative del mondo crescono: non si tratta di un qualunque evento sportivo, ma del centenario dei Giochi, che richiamerà milioni di visitatori ad Atlanta. In pochi anni si tirano mega stadi e nuove strade nascono dal nulla. La preparazione dell’evento passa anche attraverso assurde esercitazioni di sicurezza; eppure sul più bello una falla nella sorveglianza rischia di provocare una tragedia.

Dopo l’esplosione, i media fanno a gara per ottenere un’intervista con l’eroe Richard Jewell: il ritratto di quest’uomo, aspirante poliziotto che vive ancora con la madre e consuma Domino’s pizza come fosse acqua, fa il giro del mondo. Il salvatore delle Olimpiadi è quanto di più lontano da un supereroe si possa immaginare.

Prove costruite a tavolino

Ma la giostra mediatica, che tanto rapidamente lo ha portato alla ribalta, ben presto lo cannibalizza. L’FBI brancola nel buio su chi sia il responsabile dell’attentato e il nome di Richard finisce tra i sospettati. Quei tratti della sua personalità che inizialmente erano sembrati insoliti e curiosi, perfetti per un salotto televisivo, finiscono per farne un potenziale attentatore. Richard è un solitario, ha frequentato decine di corsi sulla sicurezza e le bombe, ha perso un lavoro dietro l’altro eppure insiste a voler entrare nelle forze di polizia. Si direbbe che sia sempre a caccia di attenzioni, che voglia emergere a tutti i costi.

Ad accanirsi contro Jewell sono soprattutto la cronista Kathy Scruggs e l’agente dell’FBI Don Johnson: gli articoli della prima e gli interrogatori del secondo mettono Richard con le spalle al muro. Per il lettore di oggi è chiaro che i due sono a caccia di un caso che li porti definitivamente alla ribalta; Scruggs, scribacchina di provincia, punta addirittura a vincere il Pulitzer grazie al caso Richard Jewell. Lei e Johnson che non esitano a travisare fatti e dichiarazioni pur di realizzare l’arresto dell’anno, il tutto mentre il vero attentatore (Eric Rudolph, uno svitato malauguratamente dotato di una preparazione militare) progetta altre bombe.

La vita di Richard Jewell finisce nel tritacarne

Per supplire alla totale assenza di prove, i federali attuano un’ingiustificata invasione della sua vita: mettono a soqquadro il suo appartamento, scavano nelle sue vicende private, il tutto mentre i media instaurano una sorveglianza h24 del suo appartamento. Lo svolgimento delle indagini e del loro racconto è un’inarrestabile sequenza di violazioni dei diritti di Jewell, magistralmente descritta da Alexander e Salwen.

Il racconto prosegue fino alla fine del caso: per non guastare la lettura a chi non si fosse documentato, possiamo limitarci a parlare di una fase di riscatto per il protagonista (merito un po’ del suo affollatissimo team legale, un po’ dell’inconsistenza delle prove a suo carico). La caccia al vero attentatore, pur se condotta con uno spiegamento di forze senza precedenti, non ha, nel racconto che ne fanno Salwen e Alexander, nemmeno la metà dell’accanimento che caratterizza le indagini a carico di Jewell. È chiaro che in questa seconda parte, fondamentalmente volta a chiudere il cerchio, il racconto perde un tantino di appeal, tuttavia il libro rimane un’interessante e documentata testimonianza sul potere distorto dei media (molto prima dei social) e dello stesso potere d’indagine, quando s’accompagna alla sete di potere.

  • Titolo: Il caso Richard Jewell (The Suspect)
  • Autori: Kent Alexander e Kevin Salwen
  • Traduzione di Vincenzo Perna, Michele Piumini, Sara Puggioni
  • Genere: Biografico (pagg. 456)
  • Casa editrice: Mondadori
  • Anno di pubblicazione: 2020

Questa recensione è stata scritta per Critica Letteraria

2 Commenti

  1. Buona lettura

    Interessante.

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    1. Francesca Romana Genoviva (Autore Post)

      Molto! Ti confermo che vale la pena leggerlo… almeno fino a pagina 300.

      Rispondi

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